La mia mozione sul nucleare e gas

La Camera,

premesso che:

La Commissione europea ha definito uno specifico sistema di classificazione volto a identificare le attività economiche sostenibili dal punto di vista ambientale, quale importante fattore abilitante per supportare gli investimenti sostenibili e per adottare le indicazioni del Green Deal europeo;

il regolamento (UE) 2020/852 relativo all'istituzione di un quadro che favorisce gli investimenti sostenibili (il "regolamento Tassonomia dell'UE") è entrato in vigore il 12 luglio 2020. A norma di tale regolamento il Parlamento europeo e il Consiglio hanno conferito alla Commissione europea il mandato di fornire, mediante atti delegati, i criteri di vaglio tecnico per determinare se un'attività economica contribuisce in modo sostanziale agli obiettivi ambientali. Tali criteri aiuteranno le imprese, gli investitori e i partecipanti ai mercati finanziari a stabilire adeguatamente quali attività possono essere considerate ecosostenibili. La tassonomia europea definisce sei obiettivi ambientali per identificare le attività economiche sostenibili dal punto di vista ambientale:

  1. mitigazione dei cambiamenti climatici, 

  2. adattamento ai cambiamenti climatici, 

  3. uso sostenibile e protezione delle acque e delle risorse marine, 

  4. transizione verso un’economia circolare, 

  5. prevenzione e riduzione dell’inquinamento, 

  6. protezione e ripristino della biodiversità e degli ecosistemi. 

Il regolamento della tassonomia introduce un sistema di etichettatura per gli investimenti che indicherà dove indirizzare diverse centinaia di miliardi di euro alle attività produttive che ottengono l’etichetta “sostenibile” per tutte o parte delle loro attività. Pertanto, un’attività economica è definita sostenibile dal punto di vista ambientale se: contribuisce in modo sostanziale al raggiungimento di uno o più dei sei obiettivi ambientali; non arreca un danno significativo a nessuno degli obiettivi ambientali (Do No Significant Harm - DNSH); è svolta nel rispetto delle garanzie minime di salvaguardia;

la Commissione europea in data 20 aprile 2021 ha presentato una prima serie di regole di attuazione nell’ambito della tassonomia della finanza sostenibile dell’UE, specificando i criteri tecnici dettagliati che le aziende devono rispettare per avere un marchio di investimento “verde” in Europa;

l'ambito di applicazione dell'atto delegato relativo agli aspetti climatici della tassonomia dell'UE include già circa il 40 % delle imprese quotate in borsa , appartenenti a settori che sono responsabili di quasi l'80 % delle emissioni dirette di gas serra in Europa; altre attività saranno aggiunte in futuro. Grazie a tale ambito di applicazione la tassonomia dell'UE può aumentare in modo significativo il potenziale offerto dal finanziamento verde per sostenere la transizione, in particolare per i settori ad alta intensità di carbonio, che richiedono cambiamenti urgenti. Per il momento non sono inclusi due punti controversi, ossia gas e nucleare;

sul sito del quotidiano on line dell’A.G.I. è stato pubblicato in data 23 ottobre 2021 un articolo dal titolo “L'Ue fa i conti con la crisi energetica. Von der Leyen: Il nucleare ci serve”, contenente l’allarme lanciato Presidente della Commissione Europea (Sig.ra Ursula Von Der Leyen) circa il fatto che l’Unione Europea sarebbe “chiamata a fare i conti con la crisi energetica immediata, con i prezzi alle stelle, ma anche con l'imponente sfida della transizione ecologica. E su questo dovrà scegliere quali fonti valorizzare, quali salvare e quali abbandonare nella prossima fase di transizione. E lo farà entro dicembre”;

sempre l’articolo in menzione evidenzia che il Presidente del Consiglio Mario Draghi avrebbe ammesso che “alcuni Paesi chiedono di inserirlo tra le fonti di energia non inquinanti”, senza (però) assumere una posizione definita e dimostrando (al contrario) ambiguità (attestata dalla seguente dichiarazione: “La Commissione procederà a una proposta a dicembre. Ci sono posizioni molto divisive in Consiglio. Vedremo quale nucleare e poi in ogni caso ci vuole moltissimo tempo”);

alcuni Paesi proseguono ingenti investimenti in energia atomica, a carico della fiscalità generale ovvero a carico delle tariffe elettriche che pagano i cittadini, tra cui Gran Bretagna, Russia, India, Cina e Francia. Alla recente COP 26 India e Cina sono le nazioni che hanno posto veti in campo ambientale ed energetico in quanto vorrebbero continuare a utilizzare anche il carbone; 

la Francia ha nuovamente annunciato la costruzione di nuovi reattori nucleari Epr. Giova ricordare come sistematicamente agli annunci e i presunti costi legati agli investimenti in energia atomica dichiarati dai proponenti, i risultati sono stati sempre disattesi: ad esempio nel 2008 c’erano due soli EPR in costruzione, uno in Finlandia a Olkiluoto e uno in Francia a Flamanville. In Finlandia l’azienda proprietaria della tecnologia e impegnata nella costruzione, Areva, è fallita mentre il costo stimato è lievitato circa 4 volte rispetto al costo di progetto e la nuova previsione di terminare la realizzazione non potrà essere prima del 2024. In Francia a Flamanville, cantiere gestito da EDF, i costi di costruzione sono lievitati fino a 19 miliardi di euro, tenendo conto anche dei costi finanziari come valutati dalla Corte Des Compts nel 2020, e anche questa è ancora in costruzione. Negli USA a distanza di vent’anni dal “rinascimento nucleare” lanciato da George W. Bush nel 2001, nessun reattore di generazione III+ è entrato in funzione e dei quattro reattori AP1000 in costruzione, due sono stati cancellati e due proseguono a costi esorbitanti: dai circa 9 miliardi di dollari iniziali si è già passati a una stima di 27 miliardi di dollari. L’azienda proprietaria della tecnologia, la nippo-americana Toshiba-Westinghouse, è fallita nel 2017;

in Italia la produzione di energia nucleare è stata oggetto di ben due referendum abrogativi. A tale scopo, si evidenzia che il referendum abrogativo è considerato un “atto-fonte dell'ordinamento dello stesso rango della legge ordinaria” (Corte Cost. 3 febbraio 1987 n. 29) ed il suo esito è rinforzato dal divieto (ricavato dall’art. 75 della Costituzione) di ripristino delle norme abrogate a seguito di un’iniziativa referendaria (Corte Cost. 17 luglio 2012 n. 199). Ciò vale anche per i referendum del 1987 e del 2011 che hanno decretato (con forza di legge rinforzata) la fine della produzione e dello sfruttamento dell’energia nucleare in Italia mentre permangono gli studi e le procedure sul decommissioning e sulla ricerca in tale settore;

nonostante i risultati referendari, il Ministro del MITE Cingolani ha concesso il patrocinio del proprio Ministero all’evento “Stand Up for Nuclear” (programmato in nove città italiane dal 24 settembre 2021 al 9 ottobre 2021), consistente in una serie di incontri finalizzati a sostenere e promuovere il ricorso al nucleare come fonte energetica;

sul decommissioning vale la pena ricordare che dopo 34 anni dallo spegnimento dei reattori italiani il problema dei rifiuti radioattivi prodotti dalle centrali nucleari e dagli altri siti nucleari ad esse correlate non sono stati ancora risolti e attualmente i rifiuti radioattivi sono in parte all’estero per essere riprocessati per poi tornare in Italia e in parte sono dislocati in 19 siti temporanei sul territorio nazionale. I sopra citati 19 siti non hanno le caratteristiche tecniche per stoccare definitivamente in sicurezza rifiuti radioattivi;

occorre mettere in evidenza che sul territorio nazionale ci sono anche elementi di combustibile radioattivo anche di fattura extranazionale. In particolare nell’impianto ITREC (Impianto di Trattamento e Rifabbricazione Elementi di Combustibile) che si trova all’interno del Centro Ricerche ENEA Trisaia di Rotondella (MT) tra il 1968 e il 1970 sono stati trasferiti 84 elementi di combustibile irraggiato uranio-torio, 20 dei quali sono stati ritrattati, provenienti dal reattore sperimentale Elk River (Minnesota). L’obiettivo era condurre ricerche sui processi di ritrattamento e rifabbricazione del ciclo uranio-torio per verificare l’eventuale convenienza tecnico-economica rispetto al ciclo del combustibile uranio-plutonio normalmente impiegato. Tale sperimentazioni si sono rivelate un insuccesso ed inoltre toccherà all’Italia smaltire definitivamente tali rifiuti radioattivi - staoccandoli provvisoriamente nel CSA del Deposito Nazionale - sempre che non ritornino, previo accordo tra le parti, negli USA;

pertanto si è in attesa della costruzione del Deposito Nazionale per stoccare definitivamente i rifiuti radioattivi a bassa attività e temporaneamente quelli a media e alta attività. Tuttavia il sito non è stato ancora individuato ed attualmente è in corso il Seminario per la Carta Nazionale Delle Aree Potenzialmente Idonee (CNAPI); 

i rifiuti radioattivi a media e alta attività che verranno stoccati temporaneamente in una zona all’interno del Deposito Nazionale (unità CSA - Complesso Stoccaggio ad Alta attività) verranno poi trasferiti in un deposito geologico. In considerazione degli elevati costi di realizzazione di un deposito di quest'ultimo tipo, alcuni Paesi europei, tra cui l’Italia, con quantità limitate di rifiuti a media e alta attività stanno valutando l’opportunità di costruire uno o più depositi di profondità condivisi, possibilità contemplata dalla Direttiva 2011/70/EURATOM. L’attività di sviluppo di accordi internazionali per la realizzazione di un deposito geologico condiviso è in capo al Governo, supportato da ENEA, che partecipa ad un gruppo di lavoro internazionale ad hoc denominato ERDO. In merito vale la pena evidenziare che il deposito geologico condiviso è solo una possibilità ma attualmente manca una reale pianificazione e gli sforzi in tal senso ad oggi sono insufficienti in quanto si basano sull’adesione ad un programma non vincolante e attualmente rimasto solo teorico, pertanto per l’Italia non vi è ancora soluzione per lo stoccaggio dei rifiuti a media e alta attività che sono a tutt’oggi un problema irrisolto per il nostro Paese;

confrontando i costi di gestione dei rifiuti pericolosi e quelli dei rifiuti radioattivi si può notare che mentre i primi hanno un costo di gestione di massimo alcune centinaia di euro a tonnellata (ad es. per rifiuti contenenti amianto il costo è intorno ai 250 euro a tonnellata) i secondi hanno un costo complessivo di gestione di alcune decine di migliaia di euro a tonnellata, tipicamente nel range tra 25 mila euro per i rifiuti a bassa attività e i 50 mila euro a tonnellata per rifiuti di media attività. Per il Deposito Nazionale Italiano si stima un costo di conferimento pari a circa 16 mila euro a tonnellata per lo smaltimento dei rifiuti nel deposito di superficie. Va evidenziato che a livello internazionale i costi di smaltimento in depositi geologici, intermedi o profondi, sono in un range tra 12 e 15 volte maggiori del costo di smaltimento in un deposito di superficie. I costi del decommissioning italiano sono attualmente scaricati sulle bollette elettriche alla voce A2RIM e rappresentano il 6% degli “Oneri di Sistema” che incidono circa il 23% della spesa di energia elettrica di una famiglia tipo;

 

per quanto riguarda la Ricerca e lo Sviluppo per l’energia, secondo i dati del “Rapporto Annuale per l’Energia Elettrica” del MITE, nel 2018 la spesa per ricerca nell’efficienza energetica è diminuita al 57%, mentre nel 2016 era al 58%, ma è quadruplicata rispetto al 2007. L’efficienza energetica assieme alle fonti rinnovabili e le tecnologie per la conversione, la trasmissione, la distribuzione e lo stoccaggio di energia elettrica rappresentano il 76% della ricerca energetica italiana, mentre il peso della ricerca sulle fonti fossili è circa del 12% mentre sul nucleare è circa del 7%. Quindi contrariamente a quanto si possa pensare, l’Italia non ha mai abbandonato la ricerca sul nucleare;

in riferimento alla ricerca si segnala le numerose attività di ENEA e Leonardo sul campo. Ad esempio, Leonardo attraverso la sua controllata Vitrociset, si è aggiudicata la gara indetta da ITER Organizzazione per lo sviluppo delle infrastrutture diagnostiche del reattore e i relativi servizi di ingegneria. “ENEA - Fusione” partecipa alla realizzazione di ITER attraverso l'Agenzia Europea Fusion For Energy (F4E). ITER è un progetto che si propone di realizzare un reattore a fusione nucleare di tipo sperimentale di 500 MW di potenza. Unione Europea, Giappone, Federazione Russa, Stati Uniti, Cina, Corea del Sud e India hanno siglato ufficialmente l'accordo per la realizzazione di ITER il 28 giugno 2005 a Mosca. La costruzione è cominciata nel 2007 nel sito europeo di Cadarache nel sud della Francia e sarebbe dovuto terminare nel 2016 ma ad oggi le stime sono state riviste e l’avvio delle prime attività del reattore sperimentale ITER sono stimate, secondo i proponenti, non prima del 2025 e il raggiungimento della piena capacità si pensa, nella più ottimistica delle ipotesi, sia ottenibile dopo il 2035 sempre che non vi siano ulteriori complicazioni o ritardi. Il costo per la ricerca e costruzione di questo impianto prototipo - che ancora non è stato realizzato - era originariamente stimato per 11 miliardi di dollari ma già nel 2017 aveva superato i 20 miliardi di dollari;

nel 2002 è stato costituito il GIF (Generation IV International Forum) su iniziativa degli USA e con la partecipazione di diversi Paesi, dal 2007 anche dell’Italia, per lo sviluppo di sei sistemi nucleari di IV generazione che potessero essere progettati, sperimentati e realizzati a livello di prototipo entro il 2030. Tuttavia anche in questo caso, le date e i costi stimati sono stati abbondantemente superati e per alcune di queste tecnologie non è stata ancora fornita alcuna scadenza realizzativa. Inoltre nulla è dato sapere sugli impatti ambientali e sul ciclo di vita di questi impianti che sembrano non avere mai una fine per essere realizzati bensì di sicuro un esorbitante costo a carico degli Stati;

in merito ai costi per la produzione di energia elettrica, secondo lo studio “World Nuclear Industry Status Report 2020” (WNISR) - un rapporto annuale prodotto da un gruppo di esperti internazionali indipendenti - produrre 1 kilowattora (kWh) di elettricità con il fotovoltaico nel 2020 è costato in media nel mondo 3,7 centesimi di dollaro, con l'eolico 4,0 centesimi di dollaro, con il gas è costato 5,9 centesimi di dollaro, con il carbone 11,2 centesimi di dollaro e con il nucleare 16,3 centesimi di dollaro. Secondo il dossier “Renewable power generation costs 2020” – che prende in esame solo fonti rinnovabili – il costo per kWh dell’elettricità prodotta dal fotovoltaico è di 5,7 centesimi di dollaro, mentre per quella prodotta dall’energia eolica è di 3,9 centesimi di dollaro, quindi studi recenti anche se diversi hanno stime simili. Tuttavia occorrono delle precisazioni: gli studi in merito al costo per kilowattora sono molteplici e in quelli più recenti sono più favorevoli alle rinnovabili mentre in quelli più datati (dal 2002 al 2014) i costi sono difformi rispetto ai recenti, probabilmente perchè con l’andar del tempo le rinnovabili hanno ottenuto maggior diffusione e incentivi mentre i costi stimati per fossili e nucleare erano completamente esenti da esternalità legate all’intero ciclo di vita delle centrali o alla tassazione. Inoltre se sulle rinnovabili il costo a kilowattora dipende dalla disponibilità del vento e dell’irraggiamento del sole - caratteristiche di cui l’italia ha in abbondanza in molte zone del Paese e per cui potrebbe persino essere più contenuto - i costi sul nucleare non tengono in considerazione i corretti costi di smaltimento delle scorie radioattive che come visto in precedenza hanno un impatto economico estremamente significativo mentre per il gas, carbone e il nucleare non sono sempre stimati in modo corretto i “costi esterni” ossia gli impatti ambientali e sulla salute che queste produzioni energetiche creano in modo da quantificare il “costo sociale” che quindi presumibilmente potrebbe essere più elevato;

la valorizzazione di fonti energetiche come il nucleare ed il gas costituisce il fondamento della tesi ritardista che propugna la necessità di rallentare la transizione ecologica, al fine di spalmare nel tempo gli enormi costi ad essa connessi (come quelli relativi agli investimenti necessari a sviluppare la capacità produttiva delle energie rinnovabili) ed evitare stress eccessivi del nostro sistema industriale e tensioni sociali insostenibili (cfr. l’articolo su Diario Europeo del 24 ottobre 2021 dal titolo “Altro che bagno di sangue Per stabilizzare i mercati serve la transizione ecologica”);

sennonché è convinzione molto radicata e difficilmente contestabile che la transizione ecologica non debba essere rallentata (con la riduzione degli investimenti nelle energie fossili in funzione della decarbonizzazione, accompagnata però da un’evidente timidezza verso le rinnovabili che crea un’eccessiva dipendenza dalle fonti di energia intermedie come il gas ed il nucleare), ma (al contrario) accelerata con politiche di stimolo degli investimenti (pubblici e privati) di lungo periodo necessari ad aumentare l'offerta di energia pulita (cfr. l’articolo su Diario Europeo del 24 ottobre 2021 dal titolo “Altro che bagno di sangue Per stabilizzare i mercati serve la transizione ecologica”);

il nucleare (come anche il gas) non è, quindi, la soluzione al problema della crisi energetica, suggerendo (pertanto) tale assunto alla Commissione Europea ed ai Governi nazionali l’opportunità (se non la necessità) di rivolgere i propri sforzi e la propria attenzione verso l’accelerazione di una transizione ecologica fondata sullo sfruttamento delle energie pulite;

in conclusione, appare politicamente inappropriato che il Governo (impersonato dalle componenti apicali sopra individuate) possa manifestare interesse o propugnare la possibilità che possa essere reintrodotto un qualcosa che (come lo sfruttamento dell’energia nucleare) il nostro ordinamento ha bandito ovvero che si faccia promotore di inserire il gas, una fonte fossile fortemente climalterante, nella tassonomia: 

IMPEGNA IL GOVERNO

1 - a non intraprendere iniziative tese a consentire nuovamente lo sfruttamento e l’impiego dell’energia nucleare in Italia, in ossequio alla volontà popolare espressa all’esito dei referendum del 1987 e del 2011;

2 - a manifestare il proprio convinto dissenso nei confronti dell’inserimento dell’energia nucleare e del gas nella tassonomia verde dell'Unione Europea;

3 - ad adottare azioni concrete affinché in ambito europeo vi sia una pianificazione certa per l’individuazione del sito che ospiterà il deposito geologico necessario per stoccare i rifiuti radioattivi ad alta attività non oltre il 2027 - o comunque prima della realizzazione del Deposito Nazionale;

4 - ad incrementare i finanziamenti per la ricerca scientifica in materia energetica stabilendo che almeno il 95% dei suddetti fondi entro il 2023 siano impiegati per la ricerca sull’efficienza energetica, sulle fonti rinnovabili, sulla trasmissione, distribuzione e stoccaggio dell'energia elettrica e siano azzerati i fondi per la ricerca sulle fonti fossili e che ogni conseguente onere sia riversato sulla fiscalità generale e non pesi sul costo delle bollette elettriche;

5 - ad aprire un confronto con gli USA affinchè si stabilisca che gli 84 elementi di combustibile irraggiato uranio-torio, 20 dei quali sono stati ritrattati, provenienti dalla centrale nucleare americana di Elk River, presenti presso l’ITREC di Rotondella, tornino negli USA;.

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Pubblicato il: 15/11/2021 - 11:10:5


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